Il ventennale di una “vocazione”

Il ventennale di una “vocazione”

di Cristina Musi*

C’è un po’ di presunzione nel chiamare qualcosa “vocazione”; ma, a vent’anni esatti di distanza, onestamente, non saprei come altro definirla.

È andata così. Ero in vacanza in campagna quando mi è arrivata una lettera. Era il 2003, Whatsapp non esisteva, ma mail e cellulari sì. Invece mi arrivò proprio una lettera con il suo bravo francobollo, a un indirizzo che nemmeno mi ricordavo di aver dato a quel mittente. Era l’allora presidente del gruppo Fuci di Pama, Matteo Casola, che mi scriveva dicendo che lui e l’assistente si erano consultati e avevano pensato che sarei stata la persona adatta per andare alla Settimana Teologica di Camaldoli. Alla cosa? 

Sapevo, ovviamente, che c’erano gruppi Fuci in tutta Italia e c’erano appuntamenti nazionali, ma non avevo mai approfondito più di tanto. 

Non so perché pensarono proprio a me, che fino ad allora non avevo fatto altro che partecipare volentieri agli incontri del mio gruppo e dire la mia quando mi sembrava utile farlo; ma so per certo che, quasi subito, con mia grande sorpresa, decisi che sarei andata. E, cosa ancor più strana, pensai che sarei stata disposta ad andare anche da sola, nonostante due treni e una corriera da prendere, che per me, paurosa e imbranata, era come partire per il giro del mondo.

Per fortuna (no, lo sappiamo che non si tratta di fortuna!) da sola non andai. Poco dopo la lettera, infatti, mi arrivò la telefonata di Chiara Ferrari. Anche a lei era stata proposta la stessa avventura.

Andiamo? Andiamo! 

Arrivate a Camaldoli abbiamo scoperto che erano almeno 10 anni che nessuno del nostro gruppo partecipava alle Settimane Teologiche e siamo state accolte come una sorta di panda: Siete di Parma? Davvero? Davvero! Non sentite la “r”? 

Fu una settimana densa di incontri, pensieri ed esperienze (salendo di notte all’Eremo, il bosco era pieno di lucciole, ma pieno proprio! Come un cielo sottosopra): uno di quei rari momenti in cui ci si sente le persone giuste al posto giusto.

Per un paio di giorni dopo essere tornata a casa ho parlato con un accento vagamente veneto, intercalato da espressioni milanesi e declinando tutti i verbi al passato remoto: una cosa molto poco emiliana e molto più pugliese. Poi mi è passata, ma molte cose sono cominciate da lì: Io e Chiara, assieme a Margherita Bruni, abbiamo rimesso in piedi il giornalino del gruppo, e con alcune copie di quel giornalino mi sono presentata, con sprezzo del pericolo, al colloquio con il mio attuale datore di lavoro. Chiara è diventata Consigliere Centrale e io, con la scusa di accompagnarla, per un paio d’anni ho girato mezza Italia per convegni e consigli. Anche alcune amicizie sono rimaste, nonostante la distanza e quelle cose chiamate famiglia e lavoro e vita adulta, che tendono a rendere tutto più complicato; ma ancor’oggi ci sono città d’Italia a cui voglio un po’ più bene di altre perché so che ci abita un ex fucino/a che conosco.

Com’è andata a finire? Che sono rimasta in Fuci finché ho potuto, poi me ne sono andata, com’è giusto che sia; ma per anni mi è mancato un gruppo di persone con cui confrontarmi con la stessa profondità e lo stesso stile di dialogo costruttivo e amichevole che avevo respirato in Fuci. 

Poi ho ricevuto una telefonata. Era Claudia Nebbi, del gruppo Meic di Parma, che aveva recuperato il mio numero da un vecchio elenco di fucini e mi ha chiesto: Ti interessa essere dei nostri?

Mi interessava. E la vocazione continua…

*Cristina Musi è nata a Parma nel 1978, ha una laurea in lettere (classiche) e lavora in un’agenzia di comunicazione. Ha frequentato la Fuci tra il 1998 e il 2006. Dal 2013 fa parte del Meic e dalla scorsa primavera è diventata presidente del gruppo.

Foto: Settimana teologica di Camaldoli 2003

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