Una storia di amicizia e studio
di Andrea Iurato*
«Pronto?», «Pronto, sono Mario Monti», «Sì, dica», «Mi avete inviato un invito per il vostro convegno», «Professor Monti, è lei, mi scusi…». La parte non famosa della conversazione è un giovane segretario nazionale della FUCI, il sottoscritto, in una delle sue migliori performance del mandato. Alla mia prima esperienza in FUCI, appena finito il liceo, fui spedito dal nostro assistente, insieme a tutto il glorioso gruppo di Ragusa, alle settimane teologiche di Camaldoli recando con noi svariate copie di un libretto che parlava della weltanschauung di Romano Guardini e in qualche modo, non ricordo bene come e perché, la associava alla FUCI. La FUCI era una cosa seria, per stomaci forti che a 19 anni passano un pezzo d’estate in un monastero e pensano seriamente di dibattere sulla weltanschauung. Così mi avevano detto, e io ci credevo. Poi, passando per consigli centrali raggiunti a bordo di treni notte privi di aria condizionata e strade siciliane percorse alla guida di un’eroica Fiat Uno, mi sono ritrovato a Roma, a far parte di quel gruppo che doveva prendersi cura di quella “cosa seria” che è la FUCI. Forse la parte gloriosa della storia stava per cominciare. Qualche sprazzo glorioso lo ricordo: il ricevimento dal Presidente della Repubblica, qualche cardinale o ministro qua e là, quella volta che Tiziano, mentre passeggiavamo a Prati, mi disse “‘nnamo a trova’ Cossiga” (ma lui non rispose al citofono). Tutti ricordi, che abbelliscono un’esperienza, ma non cambiano le persone. Quello che mi è rimasto attaccato addosso è il peso delle buste da inviare ai gruppi di tutta Italia, rigorosamente portate a mano al più vicino ufficio postale, l’accoglienza piena di affetto e amicizia sincera in qualunque città si andasse visitare, le notti in canoniche sperdute, in letti matrimoniali da dividere con il presidente (maschile, si intenda), i bigliettini di scuse sotto la porta dopo una gran sfuriata in presidenza. Di Montini, Moro & Co. di cui, ci dicevano, eravamo gli eredi, sono rimasti i racconti gloriosi, ma mi piace pensare anche loro ad attaccar francobolli, a raggiungere l’ufficio in un bus strapieno o a far figuracce al telefono con un “Mario Monti” dei loro tempi. Le loro grandi storie sono frutto della fedeltà a quella incredibile scuola di servizio, fede, amicizia, democrazia che è stata la FUCI. La tenace fedeltà alla promessa, trasmessa di generazione in generazione, di poter essere servizio anche durante gli anni di studi universitari. Quante altre storie di fucini ci saranno state e ci saranno ancora, meno famose, ma ugualmente grandi nel prendersi cura della fedeltà a quella promessa, che dallo studio passa immutata al lavoro, alla famiglia, al servizio nella Chiesa… La foto che ho scelto è la scrivania della mia stanza nel pensionato dell’Azione Cattolica che ci ha ospitato a Roma, dove questa piccola storia è cresciuta: fatta di FUCI, di amicizia, di amore, di studio fino a tarda notte e di conseguenti stress e poco sonno (che ci riportano alla telefonata con cui ho iniziato e a molte altre figuracce). Questa foto è il mio ricordo dell’impegno a restare fedele a quella promessa nella mia piccola vita quotidiana, il ricordo della risposta alla domanda che mi accompagna da quell’estate del 2005: “ma chi me lo fa fare?”.
*Andrea Iurato, fucino del gruppo di Ragusa dal 2005 al 2011, segretario nazionale dal 2009 al 2011, oggi è avvocato a vive felicemente a Bologna, insieme alla moglie Saretta, conosciuta grazie alla FUCI (ma non in FUCI), e ai due figli Matteo e Francesco.