Cinquant’anni di vita della F.U.C.I.

Cinquant’anni di vita della F.U.C.I.

Cinquant’anni di vita della F.U.C.I.

Guido Anichini, Cinquant’anni di vita della F.U.C.I., Editrice Studium, Roma 1947.

Nelle periodizzazioni della storia d’Italia il 1946 occupa una collocazione di rilievo. Il referendum che sancisce la nascita della Repubblica e la contestuale elezione dell’Assemblea Costituente, con l’inizio dei lavori di redazione della Carta Costituzionale, vengono letti con sfumature diverse. Da un lato, si sottolinea la cesura rappresentata dal mutamento di forma istituzionale, che marca l’inizio di una stagione nuova per l’Italia. Dall’altro – come suggeriva Pietro Scoppola – il 2 giugno di quell’anno è in una continuità politica col 25 aprile 1945, quasi a sancire il compimento della guerra partigiana. In tutte queste diverse letture, il 1946 rappresenta un crocevia storico e politico in cui si delineano scelte cruciali per il futuro del paese.

Quell’anno, per la F.U.C.I., scandisce il primo cinquantennio di vita e come tale è al centro delle pagine che Guido Anichini dedica alla ricostruzione della storia fucina nel volume Cinquant’anni di vita della F.U.C.I.. Il volumetto, stampato nel 1947 dall’Editrice Studium, colloca fin dalla prefazione la vicenda degli universitari cattolici dentro una triplice cornice: quella ecclesiale, quella culturale e quella politica. La F.U.C.I. viene presentata come pienamente inquadrata nello stile e nella missione dell’Azione Cattolica e tuttavia dotata di una speciale considerazione da parte dei pontefici che si succedono, da Leone XIII a Pio XII. La preoccupazione esplicita nei confronti dei fucini si struttura attorno al ruolo di animazione religiosa e spirituale della cultura universitaria italiana di cui la Federazione si fece carico fin dalla propria costituzione nel 1896. Quell’opera, radicatasi negli atenei italiani, aveva avuto il merito di fare da incubatrice di una classe dirigente che, non solo nel mondo della cultura, ma anche in quello delle professioni, dell’attività sociale ed economica e della politica, aveva offerto forze nuove al paese. Fino ad arrivare, con l’alba della Repubblica, a vedere molti ex fucini assumere un ruolo di primo piano nella guida del paese uscito dalla guerra e dalla dittatura.

Anichini metteva così la vicenda storica dei primi cinque decenni della Federazione sotto il segno di del “trinomio Fede-Scienza-Patria”, restituendo un racconto che appare segnato da un sentire religioso e culturale pienamente in sintonia con l’Italia del 1946. E questo ripercorrere le tappe della storia fucina ha i tratti di uno sforzo di storicizzazione venato della dimensione personale del ricordo, che emerge in modo particolare allorché si affrontano gli snodi drammatici della storia d’Italia in cui gli universitari sono coinvolti. A cominciare dalla “crisi modernista” che tocca direttamente i fucini nella persona di figure importanti nella storia della Federazione come è il caso di Romolo Murri. La storia della F.U.C.I. di Anichini rilegge «quei torbidi tempi» (p. 60) sottolineando la scelta di una piena fedeltà al dettato della Pascendi di Pio X.

Questa dimensione personale si fa ancora più evidente quando si rende ragione dell’atteggiamento della Federazione di fronte alla Grande Guerra e al coinvolgimento dell’Italia nel conflitto. Ad emergere è il ricordo dei caduti e dei morti e soprattutto la messa in luce di una fedeltà alla Chiesa che si sposa sempre più con un atteggiamento politico di piena sintonia con il sentire del tempo. «La F.U.C.I. – osserva si osserva in un passaggio cruciale –, pur accettando la dura prova della guerra con spirito cristiano, non intendeva di rimanere estranea agli ideali patriottici che univano tutti gli italiani» (p. 82). Visto con gli occhi di scriveva queste parole all’indomani della fine della guerra e della caduta del Fascismo, la storia della Federazione emergeva come qualcosa di inseparabile non solo dalla vicenda ecclesiale, ma anche da quella del paese. Quest’ultima non era solo la cornice di un impegno di animazione spirituale della cultura universitaria; essa diveniva piuttosto un elemento qualificante del modo di essere della F.U.C.I., così che la sua cattolicità e il suo impegno culturale erano intesi entro la sfera dei bisogni e delle esigenze che l’Italia esprimeva lungo la prima metà del Novecento.

In questo senso il testo di Anichini si presenta, più che come una dettagliata ricostruzione storica del primo cinquantennio di vita fucina, come una vera e propria riflessione sul valore religioso, culturale e politico dell’attività svolta dagli universitari cattolici a fino al 1946. Lo si coglie dalla sottolineatura della portata nazionale che hanno, accanto all’ingrossarsi della fila degli iscritti, alla celebrazione dei congressi, le iniziative culturali come la pubblicazione del quindicinale Azione Fucina e la nascita dell’Editrice Studium, che pubblica opera come la raccolta di Encicliche sociali in cui si manifesta la volontà dei fucini di riprendere le fila di un cattolicesimo sociale che rimonta a figure come Contardo Ferrini e Giuseppe Toniolo. Quella di Anichini non è solo una testimonianza: diviene quasi la rivendicazione, vista dal 1946 in cui scrive, della diversità della proposta culturale fucina nel clima di un Italia che vede la costruzione dello stato totalitario fascista. La “crisi” fra Santa Sede e Regime fascista che deflagra nel 1931 tocca del resto non solo l’Azione Cattolica, ma anche la F.U.C.I., fatta oggetto della violenza e in qualche modo “salvata” grazie all’accomodamento raggiunto nel settembre di quell’anno.

Le pagine di Anichini mettono così in evidenza come l’elaborazione portata avanti per decenni dagli universitari cattolici sia stata non solo una palestra, ma il luogo della costruzione di una visione del paese. La quale trova la propria espressione nelle prese di posizioni del congresso che si celebra proprio nel 1946 e che vede i fucini farsi portatori di istanze politiche da affidare alla neonata Repubblica. La libertà d’insegnamento, la richiesta di fare dell’università un’istituzione libera, pubblica e aperta a tutti, la rivendicazione di una rappresentanza degli universitari negli organi di governo delle università, sono i pilastri di una proposta che si pone come una cesura rispetto ai tentativi di fascistizzazione degli atenei portati avanti dal Regime. In tal modo, accanto al tono celebrativo, a tratti apologetico, che queste pagine, cariche anche di sfumature autobiografiche, raccolgono e ordinano, prende forma anche una testimonianza. Quella di un’esperienza, quella fucina, che si innesta nel solco di un preciso itinerario che ha alla sua origine la sensibilità sociale e culturale del cattolicesimo dell’età di Leone XIII e che da lì evolve nello sforzo di coniugare la fedeltà alla Chiesa con quella verso lo stato unitario. Quest’ultimo non è più percepito come il nemico che ha violato i diritti del Papato. Piuttosto l’Italia è la dimensione storica in cui esercitare quell’apostolato con cui si sostanzia il reinserimento dei cattolici nella vita civile e sociale del paese.

            

 A cura di Riccardo Saccenti