Patrizia Pastore

Patrizia Pastore

Patrizia Pastore

Raccontare Patrizia Pastore significa parlare dello stile fucino, di quel modo di essere e di stare al mondo che ha caratterizzato generazioni e generazioni di fucini. Non si può ricordare Patrizia senza far riferimento alla Fuci e non si può parlare della Fuci senza ricordare le persone che l’hanno resa grande e bella. Tra queste vi è senza dubbio la nostra Patrizia, che come ha ben detto mons. Russotto: «La Fuci l’aveva scolpita nel cuore».
Chi era Patrizia Pastore? Nasce a Foggia da genitori campani, un’identità geografica che sentirà sempre molto forte. Patrizia studia Giurisprudenza a Bari e proprio negli anni universitari incontra la Fuci, stabilendo un’adesione ideale e valoriale che ha caratterizzato tutta la sua vita. È stata presidente nazionale dal 1989 al 1992. Racconta bene quegli anni il suo collega di presidenza, Sandro Campanini: «Anni intensissimi di attività̀, incontri, convegni, congressi, riflessioni, studi, elaborazioni… Anni di speranze e progetti, di amicizie profonde con colleghi e colleghe della presidenza a Roma e anche del centro nazionale di AC e del MEIC, con ex fucini e fucine che ci avevano preceduto, con tanti fucini e fucine in ogni parte d’Italia (e persino d’Europa), rafforzate dai numerosi appuntamenti nazionali (indimenticabili le settimane di Camaldoli) e dagli incontri con i gruppi nelle diverse diocesi… Amicizie alle quali se ne sono via via aggiunte altre anche lungo le generazioni successive, con i più̀ giovani… fino ad oggi…». Furono loro, Sandro e Patrizia, ad inaugurare una tradizione che ancora oggi la Federazione mantiene viva, quella di leggere a due voci la relazione introduttiva ai Congressi Nazionali. Un’idea nata per valorizzare i carismi maschile e femminile, cifra distintiva della Federazione. Patrizia, come dice mons. Russotto, assistente ecclesiastico nazionale della Fuci in quegli anni, «sarà ricordata come una delle grandi donne della Fuci, perché insieme a Sandro ha inaugurato una stagione nuova, uno stile di parità tra uomini e donne».
Patrizia ha trovato nella Fuci la sua casa e la Fuci ha trovato in Patrizia una madre. Un incontro felice – oserei direi – perfetto. L’attitudine alla ricerca, la fede vissuta nei gruppi Fuci come nelle prime comunità di cristiani, l’ascolto, l’accoglienza dell’altro e l’amicizia, i legami intergenerazionali sono alcune delle perle che rendono preziosa l’esperienza in Fuci e sono diventate anche le qualità di una ragazza e poi di una donna straordinaria.
Patrizia continuerà a coltivare il suo amore per la Fuci anche una volta terminato il mandato, anche trasferendosi in America con suo marito Antonio, subito dopo le nozze. È lì che darà alla luce la sua primogenita Vanessa e che inizierà a costruire quella casa sulla roccia, una famiglia speciale, solida, unita che ha poi messo radici a Roma e si è allargata con l’arrivo di altri tre figli: Noemi, Romolo e Aurora.
Quanto sia speciale l’esperienza della Fuci e quanto plasmi e formi l’identità di un giovane che ne sposi con convinzione i suoi valori è una certezza. Ciò che è straordinario è quanto lo stile di Patrizia abbia pervaso la Federazione intera, che dalla sua giovane presidente ha imparato ad essere più accogliente ed inclusiva.
Sono tre i tratti del modo di essere di Patrizia di cui sentiamo tutti la mancanza.

Patrizia, icona di madre
Patrizia è innanzitutto icona dell’essere madre. Utilizzo un verbo al presente, perché continua ad esserlo. È madre chi sa fare spazio nella propria vita. Chi sa riconoscere e togliere il superfluo, chi sa godere dell’essenziale. È madre chi «ama dell’amore di pura perdita – come ha detto di Patrizia mons. Russotto – cioè di quell’amore che tutta dà e niente attende». Che cosa può dirci l’esempio di Patrizia oggi, in un Paese in cui non si fanno più figli, in cui l’unico vero welfare sembrano essere i nonni? Patrizia, per scelta a Roma, quindi lontana dalla famiglia di origine, ha cresciuto quattro ragazzi insieme ad Antonio, continuando a lavorare. Non sono certo mancate amarezze e dispiaceri lungo il percorso professionale, ma mi piace ricordare la grande tenacia di una donna che a 52 anni aveva vinto un concorso pubblico e aveva da poco iniziato a lavorare all’Istituto Superiore di Sanità, al Centro Nazionale Sangue.
Patrizia era madre perché aveva cura di tutto ciò che attraversava la sua vita. Sapeva farsi carico senza che gli altri avvertissero la fatica. Lo faceva per istinto, non certo forzatamente: accogliere era il suo modo naturale di stare al mondo. Patrizia non ha avuto paura di interpretare la complessità femminile, perché una donna sa essere perno, senza per questo doversi avvitare su sé stessa, combinando in modo sempre nuovo ed originale la scelta di essere moglie, mamma, lavoratrice, volontaria. Patrizia era una mamma felice, perché era una donna compiuta.

Patrizia, maestra di amicizia
«Patrizia era piena di vita e la vita in lei diventava luce», padre Mario conosceva così bene Patrizia ed è impossibile non attingere alla sua penna per raccontarla. Quando Patrizia è scomparsa, scrissi di getto: «Ho provato ad essere la tua ombra, ma tu non permettevi a nessuno di rimanere nell’oscurità, tutti sapevi illuminare con la tua luce». Il suo sorriso era luce, lo erano la sua voce così come i suoi occhi. Tutto in lei brillava di purezza.
Patrizia sapeva avere sempre uno sguardo non giudicante sulle questioni, sui progetti, sulle persone. Aveva quella rara capacità di credere negli altri, di sapere ascoltare senza preconcetti e pregiudizi, che le consentiva di tessere trame di amicizia con qualsiasi generazione. Non c’è nulla di paragonabile allo sguardo di fiducia che si posa su di te di chi crede nelle tue possibilità. Patrizia custodiva un candore e una purezza che la ponevano in dialogo autentico con chiunque. Trasudava garbo e gentilezza, sempre condito dall’ironia (e autoironia) che facevano di lei un’amica e sorella maggiore speciale.
Non credo di esagerare nel dire che Patrizia ha tenuto per quasi un trentennio unite generazioni di ex fucini. Se Patrizia è stata capace di ammagliare la rete dei fucini è perché è stata maestra di amicizia, quella vera e autentica.

Patrizia, esempio di rettitudine
Patrizia era una testimone credibile del Vangelo, perché ad ogni bivio della sua vita non ha avuto tentennamenti. Sceglieva il bene, anche a costo di rischiare o di rimetterci. Fermezza e mitezza in lei convivevano con equilibrio, Patrizia era retta di cuore. Ha saputo interpretare con trasparenza e senso di giustizia ogni incarico associativo. Anche nell’ultimo tratto del cammino su questa terra. In Acisjf il suo arrivo è stata una nuova primavera dopo un inverno durato troppo a lungo.
Presidente nazionale della Fuci, l’impegno nella Fondazione Fuci, il percorso a Cittadinanzattiva, fino all’impegno in Acisjf. Patrizia ha portato sempre in queste realtà l’amore per la conoscenza e lo spirito di carità operosa. Il suo entusiasmo era contagioso, sapeva coinvolgere e valorizzare chiunque le stesse intorno.
Le persone come Patrizia sono regali dal Cielo, le loro vite rappresentano così tanto per le realtà e per le biografie che incontrate o soltanto sfiorate che senza di loro, oggi, non sarebbe possibile parlare della Fuci come di una esperienza straordinaria che ha cambiato la vita a tutti quelli vi hanno aderito. Indimenticabile, sì. Perché fucini come Patrizia l’hanno resa tale.

                                                                                     Maria Rosaria Petti

Per saperne di più, si veda il sito biografico.