Pino Puglisi
LA FUCI di Palermo, nei primi anni Ottanta, era riuscita a svolgere un’attività intensa sul piano locale e nazionale. Partecipava ai travagli dell’Università, della Società e della Chiesa di quel tempo.
Erano anni convulsi, in cui la “Prima Repubblica” già aveva il fiato corto, perdeva visione e capacità di reggere attraverso le autoriforme. Dopo la tragica uccisione di Aldo Moro, si era perso quel filo rosso del cambiamento progressivo che era stato tessuto con sapienza e progettualità lungo il cammino della “Prima Repubblica”, per giungere alla democrazia dell’alternanza e alla piena realizzazione soprattutto dei valori sociali presenti nella Costituzione.
Anche in Sicilia si avvertivano i contraccolpi di quella drammatica crisi. Cosa nostra assumeva via via un ruolo devastante tanto da colpire con una forza brutale il Presidente della Regione, Pier Santi Mattarella, promotore della nuova stagione del cambiamento, che con i fucini aveva un comune sentire su molti punti della sua idea politica e della sua azione di governo.
Fu ucciso poi Pio La Torre, che era riuscito a trasferire nella politica un’idea avanzata sul piano sociale della lotta alla mafia e della collocazione geopolitica della Sicilia nel Mediterraneo. La FUCI siciliana aprì un dialogo con Pio La Torre e partecipò ufficialmente al vasto Movimento per la Pace, in contrasto con la cinica “ragione strategica” e l’installazione dei missili nucleari nella base militare di Comiso.
Non va sottovalutato un altro omicidio politico-mafioso, quello di Peppino Impastato, che aveva provato a scardinare la subcultura e gli interessi mafiosi in un territorio controllato dall’allora gotha di Cosa nostra, con in testa Gaetano Badalamenti. Anche sull’omicidio di Peppino Impastato i fucini non abboccarono all’ipotesi creata ad arte del suicidio o del fallito attentato alla ferrovia.
Nella Chiesa erano gli anni della ricerca della traduzione ecclesiale delle scelte innovative del Concilio Vaticano Secondo. Aprirsi alle dinamiche del territorio e alla promozione umana, coltivare una spiritualità incarnata, ritenere positivo il pluralismo culturale e politico, investire sulla formazione di coscienze laicamente adulte erano aspetti vissuti nell’esperienza fucina.
Nell’Università si discuteva molto del suo carattere e del suo ruolo. Nella FUCI si portava avanti l’idea che l’Università dovesse sviluppare tutte e tre le sue peculiari dimensioni: trasmettere saperi e conoscenze, promuovere la ricerca, supportare la formazione di una coscienza critica.
I fucini di Palermo erano inoltre molto impegnati e partecipi del cammino nazionale della FUCI e della sua idea di “scelta religiosa” lontana dal disimpegno irenico o dagli integralismi, con una laicità vissuta come modo di essere, piuttosto che come scelta di uno specifico ambito, e aperta al dialogo religioso ed ecumenico. La vita spirituale e culturale era in sostanza intensa e coinvolgente.
Dalla metà degli anni Ottanta, la FUCI di Palermo è diventata un punto di riferimento ecclesiale, civile e politico. In quel periodo si era alla ricerca di un buon Assistente diocesano. Diventava prioritario individuarne uno che avesse le caratteristiche di sacerdote in grado di rispettare il valore della laicità e dell’identità culturale aperta alle innovazioni del Concilio, sensibile a quella che allora veniva chiamata “promozione umana” e, nello stesso tempo, in grado di essere una saggia guida spirituale. Non era semplice ritrovare in un Sacerdote tutte queste particolari caratteristiche.
Ci fu consigliato un Sacerdote che poteva assumere tale responsabilità: il suo nome era Padre Pino Puglisi.
Organizzammo diversi incontri in cui si aprirono un dialogo ricco di stimoli e un confronto serrato sul ruolo dell’Assistente e sul cammino spirituale e formativo da intraprendere. L’intesa fu totale e straordinaria: la disponibilità a donare una parte del suo già abbastanza impegnato tempo fu da subito generosa. Tra gli impegni vi era inoltre quello di seguire il gruppo FUCI non di sede universitaria, quello di Termini Imerese. Anche su questa attenzione ci fu una disponibilità ammirevole.
Il vescovo di Palermo, il Cardinale Pappalardo, condivise la proposta di incaricare Padre Puglisi e fu ben felice successivamente di nominarlo formalmente Assistente.
Con Padre Puglisi si rilanciò nella vita dei fucini la dimensione spirituale senza che questa andasse a discapito dell’impegno culturale e sociale.
Nel frattempo la FUCI di Palermo ebbe un ulteriore ricambio generazionale.
Io stesso, lasciata la Vice Presidenza nazionale, fui chiamato ad un impegno sociale più diretto con il Movimento del Volontariato Italiano, della cui guida dopo pochi anni mi venne data la responsabilità.
Le dimensioni spirituale, culturale e sociale continuavano ad essere i tre capisaldi dell’impegno fucino palermitano. Nel frattempo, nella Parrocchia di San Gaetano si determinò la necessità di nominare un nuovo Parroco. Per agire nel quartiere di Brancaccio, non era semplice individuare un Sacerdote che avesse la personalità per reggere un’esperienza così forte e di frontiera, in un quartiere in cui emergeva la presenza di una mafia potente e spietata, molto legata alle dinamiche dei più importanti vertici mafiosi. I fratelli Graviano erano boss che avevano anche una certa dimestichezza con una presenza parrocchiale molto addomesticata e passiva di fronte al loro potere così pervasivo e totalizzante.
Padre Puglisi si fece avanti e diede la sua disponibilità a guidare la Parrocchia senza tralasciare gli altri impegni, compresa la guida spirituale dei giovani fucini. Anzi, li chiamò a condividere il loro impegno con una assidua presenza in quel rischioso contesto ecclesiale e sociale.
Le attività formativa, pastorale e sociale ebbero un impulso straordinario. Molti giovani del quartiere si sentirono accolti e chiamati ad una vita che cambiava i loro caratteri fondamentali. Insomma, si avviò un percorso di liberazione che raramente anche gli stessi “sacerdoti antimafia” riuscivano a sviluppare concretamente nel territorio.
In pochi anni il cammino pastorale avviato da Padre Puglisi acquisì intensità e autorevolezza e fu condiviso in larghi strati sociali del Quartiere. Cosa nostra sentì venir meno la sua storica funzione di esclusiva regolazione sociale pure della vita quotidiana dei ragazzi e dei giovani. Il conflitto con l’operato di Padre Puglisi fu pertanto inevitabile. Venivano meno i capisaldi della coabitazione nel decidere le feste religiose, nell’orientare i valori degli adolescenti, nel richiedere la riqualificazione della presenza delle istituzioni con la scuola e i servizi sociali.
Apriva inoltre la sua attività il Centro Padre Nostro, che intensificava la collaborazione con il Volontariato del quartiere, libero dalle interferenze mafiose e ben disposto ad un’azione di emancipazione sociale e politica.
Più volte, confrontandomi con Padre Puglisi, avvertivo il rischio crescente del suo impegno, tanto che avevo preso i contatti con la Commissione Parlamentare Antimafia di quel tempo per organizzare una visita di sostegno alla Parrocchia e per sollecitare le istituzioni locali ad avviare quella che chiamavamo la “socializzazione del territorio”.
Quando lanciai nel raduno del Volontariato del Sud la proposta del consumo critico boicottando i locali commerciali legati alla mafia, Padre Puglisi apprezzò questa scelta e ci incoraggiò ad andare avanti, senza far mancare un riferimento ironico al suo quartiere, dove non sarebbe stato semplice scegliere chi realmente sostenere nella propria attività commerciale.
Il rischio avvertito e le difficoltà che sentiva addosso crebbero sino alla fatidica data del suo compleanno, il 14 Settembre 1993. Mi trovavo in giro per l’Italia per alcune iniziative sul volontariato. Quel giorno ero in provincia di Torino. La sera, rientrato in albergo, sentii nella hall il notiziario della tv in cui si dava notizia dell’uccisione di Padre Puglisi. Capii subito cosa poteva essergli successo. Ci ritrovammo immersi in un dolore straziante ma anche in una consapevole volontà di andare avanti nella dimensione formativa, culturale, spirituale tracciata insieme a Padre Pino Puglisi. Della “socializzazione del territorio” portammo una testimonianza in una inedita audizione davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia. Questo approccio diventò il punto di riferimento per quanti volevano un cambiamento reale delle città del Sud nella lotta alle mafie.
Cambiò così anche la nostra vita.
Giuseppe Lumia


