Elisa Bianchi
Elisa Bianchi, che fu Presidente centrale della Fuci dal 1955 al 1960, ma lavorerà al Centro nazionale fino al 1964, è morta il 4 ottobre 2000. Era nata nel 1931. Io mi sono trovato a lavorare con lei dal 1957 al ’60, restando poi nel centro ancora un anno. Di Elisa si ricordano molte qualità preziose in quella responsabilità: la fede intensa, lo spirito profondo di preghiera, sostanziata di Bibbia e di liturgia, la delicatezza e bontà con tutti, l’energia e la costanza, la serenità e la fiducia nei rapporti personali e di fronte ai problemi.
Intelligente e colta, dava il suo contributo soprattutto nel versante della sensibilità spirituale. Come era naturale e comprensibile, in una associazione di studenti e studentesse universitari cattolici, c’era una certa tensione virale e stimolante, accentuata dagli impeti giovanili, tra chi sottolineava l’impegno culturale e chi piuttosto la vita religiosa, pur nell’unità delle due dimensioni. Elisa proponeva e sviluppava piuttosto questa seconda dimensione, ma con grande equilibrio e saggezza, che tutti le riconoscevano, senza alcuna divisione della vita. Col tempo, emergerà infatti nella vita spirituale la ricerca dell’unità di vita come valore centrale.
Il suo contributo personale allo spirito del lavoro non fu dunque settoriale, ma riguardò anche l’attenzione e la lettura dei mutamenti culturali, la presenza fucina nella comunità universitaria e nelle sue organizzazioni, la sensibilità sociale, che poi sviluppò nella sua vita professionale.
I suoi interventi nel lavoro quotidiano nell’équipe di presidenza, come negli incontri e convegni ai vari livelli, erano sempre sobri e centrati sull’essenziale, che sapeva individuare con intelligenza dei valori e con capacità di orientamento pratica. Elisa era la presidenza incoraggiante per noi un pochino più giovani, quando difficoltà impreviste rischiavano di scoraggiarci. Era anche brava e delicata mediatrice fra gli attriti di caratteri, inevitabili e normali in un gruppo di lavoro. Questi suoi apporti al clima comune, si sentiva che erano carità evangelica in atto, radicati in una viva interiorità.
Quelli erano gli anni precedenti al Concilio, e nella Fuci, che era considerata un po’ la pecora nera nell’Azione Cattolica, non mancavano critiche verso certe caratteristiche rigide e formali del cattolicesimo. Vedere da vicino il centralismo e il gigantismo vaticano, accresceva in noi le perplessità con cui già eravamo arrivati a Roma dai nostri luoghi di provenienza. Elisa sentiva come tutti, e con particolare lucidità, che lo spirito evangelico era costretto in certe angustie e piccolezze umane, troppo umane, e ne soffriva, ma era particolarmente capace di volgere in atteggiamenti costruttivi e positivi il disagio interiore, sapeva cogliere l’essenziale della vita ecclesiale distinguendo dal mutevole e caduco, senza perdere la serenità.
Più di tutto, ciò che io sentivo allora, come negli incontri successivi con lei – rari, ma sempre basati su quell’intenso periodo comune di lavoro e di crescita – è che Elisa ha vissuto sempre nella presenza di Dio: Dio presente a lei, lei davanti a Dio. Più di una volta le ho sentito dire: “Come è buono il Signore!”. Era esperienza. E questa è la cosa più bella e grande che Elisa ci ha testimoniato, da quegli anni lontani fino a questo suo improvviso e rapido anticiparci nella vita che non muore.
Enrico Peyretti
L’articolo è stato pubblicato originariamente nel numero 11 di “Ricerca” del 2000, con il titolo “Ricordo di Elisa Bianchi nella FUCI”.