Luigi Gui
Nato a Padova il 26 settembre 1914, Luigi Gui si formò all’interno del mondo cattolico, nelle sue associazioni e istituzioni. In particolare, come Giuseppe Dossetti, Aldo Moro e Mariano Rumor, frequentò gli oratori e i circoli della Gioventù Cattolica. Nel suo caso, il circolo Beato Gregorio Barbarigo della cattedrale di Padova. Gui fu delegato aspirante e vicepresidente. Negli spazi ristretti concessi dal regime fascista, l’associazionismo giovanile cattolico doveva puntare necessariamente sulla formazione individuale dei giovani e sulla loro dimensione spirituale. Nel circolo della Gioventù cattolica padovana si insisteva non a caso sui gruppi del Vangelo, sull’adorazione eucaristica o mariana, sulle vite dei santi e su una severa vita morale.
Come studente dell’Università Cattolica di Milano, nel 1933, Gui si scrisse alla FUCI, alla cui attività collaborò costantemente. Si trattava di un ambiente fortemente influenzato dall’eredità lasciata da Giovanni Battista Montini, tesa a formare coscienze cattoliche pensanti la cui obbedienza alla Chiesa non fosse mai cieca e il cui atteggiamento verso il mondo fosse «innanzitutto quello di capirlo prima che di giudicarlo». Anche la FUCI privilegiava comunque formazione interiore e impegno caritativo. Gui si laureò nel 1937 in Lettere e filosofia.
Negli anni del regime, come altri futuri dirigenti democristiani, Gui fu iscritto alle organizzazioni fasciste. Tuttavia, proprio il fatto di essere immersi nell’esperienza totalitaria degli “anni del consenso”, offrì la possibilità a giovani come lui, impegnati nell’associazionismo cattolico, una qualche indipendenza di giudizio e di visione, ma non ancora una vera vocazione politica. Fu la guerra combattuta dall’Italia come alleata del nazismo a mettere in discussione l’autosufficienza della loro formazione religiosa. Contrari all’intervento, questi giovani cattolici, una volta che il paese entrò nel conflitto, sentirono che la nuova drammatica realtà imponeva una presa di coscienza e una qualche assunzione di responsabilità. Gui partecipò alla guerra come ufficiale degli Alpini, destinato tra fine 1942 e inizio 1943 sul fronte russo. Questa esperienza fu certamente segnata da un forte sentimento patriottico, da un profondo antinazismo e dalla progressiva rottura con i valori del fascismo. Dopo l’8 settembre, Gui scelse la Resistenza con l’argomento della necessità di una testimonianza dei cattolici nell’opposizione al nazifascismo. Seppure le difficoltà con la politica di partito permanessero, fu proprio il contesto resistenziale a spingerlo definitivamente verso la politica e verso la Democrazia cristiana. Gui entrò così nella Dc collocandosi a sinistra, fra i cosiddetti «giovani» che avevano maturato un’esperienza e una cultura più moderne rispetto alla generazione degli ex-popolari. Divenne così emblema di «una élite realmente nuova», che nell’età repubblicana avrebbe svolto un ruolo decisivo tanto nel partito, quanto nell’attività istituzionale.
Con la liberazione di Padova divenne vicesegretario e animatore della Dc locale, mentre svolgeva il ruolo di docente di filosofia e storia al liceo. Candidato alle prime elezioni amministrative libere dopo il fascismo, fu eletto nel consiglio comunale della città e il 2 giugno del 1946 risultò eletto all’Assemblea Costituente tra le file della Dc. Cominciò così un lungo percorso politico che, nei decenni successivi, lo portò ad assumere incarichi politici e governativi di particolare rilievo: fu sottosegretario all’Agricoltura (dal 1951 al 1953), ministro del Lavoro (dal 1954 al 1957), presidente del Gruppo parlamentare Dc alla Camera (dal 1958 al 1962), ministro della Pubblica Istruzione (dal 1962 al 1968), della Difesa (dal 1968 al 1970), della Sanità (dal 1973 al 1974), degli Interni (dal 1974 al 1976).
Tra i ruoli istituzionali rivestiti, è particolarmente degno di nota quello di ministro dell’Istruzione per la continuità con cui Gui lo mantenne e per i successi conseguiti in questa veste. Nella fase storica del centro-sinistra, segnata dalla collaborazione di governo fra Dc e Partito socialista italiano, egli accettò tale incarico non solo sulla base della sua esperienza giovanile di docente, ma anche con la convinzione che la scuola fosse «un campo nel quale si poteva svolgere una funzione più diretta nel favorire l’avanzamento sociale (oltre che culturale) delle classi popolari». In più occasioni, egli ebbe a ribadire che il progetto del «centro-sinistra scolastico» si fondava non tanto sull’attuazione degli articoli 33 e 34 della Costituzione (relativi alla scuola), ma piuttosto sugli articoli 3 e 4 relativi ai diritti dei cittadini: attuare la Costituzione nella scuola avrebbe contribuito a garantire lo sviluppo della personalità di ciascuno nell’ottica di una maggiore giustizia sociale e di un più solido progresso democratico.
In quegli anni, in piena sintonia con Aldo Moro cui era molto vicino, Gui riuscì a portare a termine l’approvazione del piano per lo sviluppo della scuola nel triennio dal 1962 al 1965, che sancì un’importante cesura nella politica scolastica dei governi repubblicani. Esso infatti introdusse un metodo nuovo che subordinava la formulazione di riforme strutturali allo stanziamento di capitoli straordinari di spesa. Inoltre, fu portata a termine l’istituzione della scuola media unica che estese il diritto all’istruzione, prolungando l’obbligo scolastico da 5 a 8 anni, portandolo a 14 anni di età. Oltre ad eliminare l’esame di ammissione e ad abolire la scuola di avviamento al lavoro, la scuola media riformata, liberalizzando gli accessi alla secondaria di secondo grado, cercò di porre fine alla ripartizione precoce della gioventù italiana, quasi sempre determinata dall’estrazione socioeconomica. In quegli stessi anni, Gui avviò la riforma della scuola secondaria di secondo grado che venne approvata solo in parte e decadde per la fine della legislatura. Nel maggio del 1965, Gui presentò pure un progetto di riforma dell’università che introduceva alcune rilevanti novità, come l’istituzione dei dipartimenti, la diversificazione dei gradi finali di studio, il dottorato di ricerca, più estese rappresentanze negli organismi di governo universitari e una nuova disciplina dei concorsi. La legge venne osteggiata da destra e dalle maggiori lobbies universitarie assai influenti in parlamento per i suoi contenuti ritenuti troppo innovativi, ma nel contempo divenne anche oggetto di contestazione della allora montante protesta studentesca che chiedeva una riforma più radicale del sistema universitario. Anche questo innovativo disegno di legge dunque, nel 1968, decadde senza essere approvato.
Ancora più complesso e ostacolato da resistenze culturali e politiche fu il percorso che condusse alla nascita della scuola materna statale, che però Gui riuscì a portare a termine. Le strutture e l’impianto pedagogico dell’educazione prescolare esistenti allora in Italia erano caratterizzate dalla pressoché totale assenza di interventi statali e, al contempo, da una assoluta preminenza di iniziative educative confessionali cattoliche, affiancate da quelle promosse dagli enti locali in alcune aree del paese. La legge, approvata dal parlamento nel 1968, invece, previde per la prima volta che lo Stato si assumesse l’onere di intervenire nell’educazione della prima infanzia per garantire il diritto all’educazione e all’assistenza di tutti i bambini. L’introduzione della scuola materna statale gratuita e non obbligatoria rappresentò quindi una risposta democratica all’esigenza sociale di assistenza della prima infanzia e, attraverso i successivi Orientamenti, avrebbe introdotto una ventata di modernità pedagogica.
Nella metà degli anni Settanta, come ex ministri della Difesa, Gui e il socialdemocratico Mario Tanassi furono coinvolti nel famoso scandalo Lockheed. Il 4 febbraio 1976, avevano cominciato a circolare le prime notizie provenienti dagli Stati Uniti di possibili tangenti intorno a una fornitura allo Stato italiano di quattordici aerei Hercules C-130 prodotti dalla società americana Lockheed. Il 29 marzo 1976, l’autorità giudiziaria ordinaria trasmise gli atti al presidente della Camera e all’inizio del 1977 la Commissione parlamentare inquirente per i procedimenti d’accusa invitò la Camera stessa a deliberare la messa in stato d’accusa di Tanassi e Gui. Nella discussione parlamentare in aula, il 9 marzo 1977, fu Aldo Moro a prendere una posizione molto netta in difesa di Gui, con un discorso che rimase il suo ultimo discorso in parlamento. Il 10 marzo, fu deliberato il rinvio alla Corte costituzionale e dunque la messa in stato di accusa sia di Gui sia di Tanassi. Il 1° marzo 1979, la Corte costituzionale integrata emise la sentenza definitiva: Gui venne assolto «per non aver commesso il fatto» e Tanassi, al contrario, venne riconosciuto «colpevole del reato di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio».
La vicenda Lockheed e l’assassinio per mano brigatista di Moro, suo principale riferimento politico, segnarono il progressivo declino della carriera politica di Gui. Tuttavia, lasciato l’impegno governativo, continuò a lavorare con dedizione per il partito e per il Paese, partecipando a convegni e congressi della Dc e alle attività di numerose associazioni culturali.
Chiara Zampieri
Bibliografia:
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