Maria De Unterrichter
Nata a Fucine di Ossana il 20 agosto 1902, in un paese del Trentino, al confine dell’Austria con il Regno d’Italia, da madre italiana e padre sudtirolese di lingua tedesca, si trasferì con i genitori e con il fratello Guido a Trento, in anni in cui il giovane Alcide De Gasperi perseguiva la tutela della nazionalità italiana e una politica di convivenza fra i popoli all’interno dell’Impero austroungarico. Presto la famiglia fu poi profuga a Innsbruck per lo scoppio della prima guerra mondiale.
Finita la guerra e annesso il Trentino all’Italia, rientrata nella sua città, vi concluse gli studi al Liceo Giovanni Prati e fu dirigente di associazioni studentesche cattoliche. Nel 1922 s’iscrisse alla Facoltà di Lettere della Sapienza, a Roma, dove fu socia e poi presidente del circolo universitario cattolico femminile, fondato da Luigia Tincani secondo i modelli di apostolato femminile dell’Unione Donne cattoliche italiane e confluito nella Fuci nel 1919.
Per il tramite della stessa Tincani, ebbero influenza sulla sua vita personale e sul suo impegno politico, la spiritualità domenicana e il riferimento a Santa Caterina da Siena, da cui trasse la tensione al «governo di sé» nel dominio della ragione e della volontà, un forte richiamo alla carità, come vocazione a coniugare la dimensione soprannaturale con l’interesse all’umanità del suo tempo e l’impulso a rendere partecipe il prossimo della verità e della ricchezza interiore assimilata dallo studio e dalla preghiera.
Nel 1923, secondo i nuovi statuti dell’Azione cattolica, i circoli femminili della FUCI entravano a far parte di una delle tre componenti associative che, con la denominazione di Universitarie cattoliche italiane (UCI), accanto all’Unione donne e alla Gioventù femminile, formarono l’Unione femminile cattolica italiana(UFCI).
Nel 1925, fu proprio Maria de Unterrichter, eletta alla presidenza delle Universitarie cattoliche italiane ad assumere il compito di assicurare alle studentesse una distinta formazione spirituale e morale, centrata sulla correlazione tra lo studio e la pietà, secondo la volontà della gerarchia ecclesiastica contraria alle associazioni miste. Più in generale, a evitare la promiscuità della socializzazione dei militanti e delle militanti cattoliche degli anni Venti, era esaltato il valore della purezza, posta come scudo ai pericoli della vita moderna e misura della coerenza personale affidata all’integrità dell’anima e del corpo. Nei programmi dell’Azione cattolica, la purezza, riferita innanzi tutto al ruolo delle donne nella famiglia, si affermava come nuova forma di penetrazione nella società, per la via della moralità della vita privata, essendosi ridotta, sotto il fascismo, l’incidenza pubblica, politica e civile del movimento cattolico nel Paese.
Maria de Unterrichter, tuttavia, riprendendo un aspetto importante della tradizione associativa fucina, perseguì anche un calibrato indirizzo unitario tra i circoli femminili e quelli maschili, affidato statutariamente alla comune partecipazione ai congressi e alla vita pubblica degli atenei. Questa tendenza si consolidò, di fatto, nella cordialità e nel collegamento da lei mantenuti personalmente con Igino Righetti, che, con Giovan Battista Montini, guidava in quegli anni la Fuci; nell’amicizia che spesso s’instaurava tra universitari e universitarie, in base a un rapporto intellettuale paritario, acquisito nell’approfondimento culturale e teologico; in alcuni momenti della pratica liturgica e in un profondo senso della comunità cristiana.
La doppia natura delle UCI, di associazione di universitarie presenti negli atenei al fianco della componente maschile e di movimento religioso femminile dedito alla formazione e all’apostolato, rifletteva l’intendimento di non contrapporre l’emancipazione delle donne a quella pedagogia che mirava a valorizzarne la dedizione alla maternità. In tal senso il volume di Antonin-Dalmace Sertillanges, Femminismo e cristianesimo, pubblicato a Parigi nel 1908 e, in traduzione italiana, dalla Sei di Torino nel 1920, aveva riconosciuto un senso cristiano all’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e dell’istruzione, nella vita pubblica e in varie forme della socializzazione, considerandolo inarrestabile, ma anche conciliabile con le visioni della Chiesa. Questa scelta moderata, che in un’ottica di genere viene facilmente giudicata oggi contraddittoria, va ricondotta, in termini di comprensione storica, all’efficace opera di orientamento e di mediazione che il movimento femminile cattolico assunse nei passaggi critici e nei grandi mutamenti socioeconomici, politici e culturali che coinvolsero vasti strati sociali dell’Italia del Novecento.
Negli anni Venti, le aperture europee del movimento universitario cattolico italiano si rivolsero alla cultura teologica francese e a quella tedesca, che consideravano con fiducia la rilevanza del cristianesimo nella storia e la sua attualità come forza dinamica, in una prospettiva di equilibrio tra personalità e società e senza cadute di reazione né di disposizione passiva alla modernità. Maria de Unterrichter, anche in virtù della sua provenienza da una regione situata tra l’Italia e il Centro Europa e grazie alla conoscenza di più lingue, in ispecie di quella tedesca, partecipò agli scambi internazionali della Fuci, che s’intensificarono nel corso di quel decennio. Aderì, infatti, a Pax romana, fondata a Friburgo nel 1921 come organizzazione di universitari cattolici di diversi Paesi europei. Essa ebbe il fine di promuovere una fraternità fra i popoli che evitasse nuove guerre e conflitti civili, riaffermando il valore della pace cristiana, nel clima di apertura della Chiesa all’internazionalismo wilsoniano, pur sempre in una prospettiva di cristianità, ribadita da Pio XI con il motto Pax Christi in Regno Christi, e di sostegno dell’universale primato spirituale del pontificato romano.
Il personale percorso intellettuale delle letture e degli studi di Maria de Unterrichter non corrispose a una formazione tutta chiusa in ambito confessionale, ma l’avrebbe spinta, anzi, in tutto il corso della sua vita, a misurarsi e a cercare compatibilità e convergenze con idee e visioni differenti dalle sue. Già a Trento, aveva ricevuto la prima impronta di un cattolicesimo aperto alla scienza e al confronto con il mondo moderno, ma anche proteso a una politica di convivenza fra le nazioni, a fronte dei fermenti politici e ideologici diversi che avevano agitato gli studenti del liceo, dov’era stato vivo l’irredentismo.
A Roma, nell’università pubblica, si affermava nel primo dopoguerra l’egemonia culturale di Giovanni Gentile e una più marcata identità culturale italiana nei corsi e nella ricerca, rispetto alla precedente influenza germanica. Se i docenti entravano ora con il loro impegno intellettuale nelle vicende politiche della nazione, si erano già manifestati fra gli studenti, prima della guerra, orientamenti antigiolittiani, caratterizzati in senso nazionalista e, nell’imminenza dello scoppio del conflitto, in favore dell’interventismo.
Maria de Unterrichter, dunque, si trovò alla Sapienza, in una fase di confronto-scontro degli studi letterari fra la tradizione culturale italiana e quella tedesca. Mentre restava alta la qualità degli insegnamenti, si dedicò con maggiore interesse alla storia, un ambito disciplinare che, per la sua esposizione politica, attraversava una contingenza critica, in anni di avvento e di consolidamento del fascismo al potere, ma anche di riformulazione dei rapporti tra Stato e Chiesa. Nel gennaio 1926 la scomunica per modernismo di Ernesto Buonaiuti, del quale aveva già seguito il corso di Storia del cristianesimo, aveva prodotto disappunto presso gli allievi, causando anche in lei un qualche disagio – possiamo immaginare- per la sua veste di dirigente eletta del movimento universitario cattolico, che non poteva non godere della personale fiducia del papa.
Aveva seguito nel 1924-1925, fra gli altri corsi, quello di Storia del Risorgimento tenuto da Michele Rosi, un docente di orientamento cattolico con fama di antimassone, le cui lezioni offrivano l’opportunità di una libera riflessione critica, mal sopportata dai giovani fascisti, e attraevano gli studenti antifascisti convenuti anche da altre facoltà. In questo ambiente Maria frequentò compagne e compagni di studio di diversi ideali e culture politiche, con i quali condivise una piena avversione al regime, derivante dalla diretta percezione della presenza invasiva e vessatoria del fascismo nella quotidianità degli studi universitari e nel vissuto stesso degli studenti.
La fisonomia culturale e civile acquisita nella formazione e nel percorso universitario traspare dalla tesi di laurea da lei discussa nell’aprile del 1927, riguardante la vicenda della morte, avvenuta a Trento nel marzo del 1475, del piccolo Simone Unferdorben. L’evento, noto come un caso di omicidio rituale attribuito a un gruppo di ebrei, che aveva originato il culto cattolico del Beato Simone da Trento, era da lei studiato e analizzato con un vaglio scrupoloso delle fonti, secondo un rigoroso metodo storico. Dal testo risultano, come elementi della sua cultura politica: i principi di tolleranza e di libertà religiosa, l’opposizione a ogni forma di pregiudizio nei confronti degli ebrei, una sensibilità al tema della formazione dell’opinione pubblica, l’interesse per il ruolo delle élite intellettuali, un’attenzione agli orientamenti popolari e una consapevole visione del Trentino come crocevia culturale tra Italia e mondo germanico.
Gli anni della sua presidenza delle Universitarie cattoliche, che ebbe fine nel 1929, coincisero con la fase della costruzione del regime mussoliniano, che produsse in lei e nella dirigenza della Fuci fermezza e resistenza a pressioni, attacchi e prepotenze esercitati dei fascisti sui circoli studenteschi cattolici, e finanche aggressioni, come quella che avvenne al congresso della Fuci a Macerata nel 1926.
Dopo il matrimonio, si stabilì a Napoli, avendo sposato nel 1930 Angelo Raffaele Jervolino, avvocato di quella città e presidente della Gioventù cattolica italiana. Rinunziò all’insegnamento, anche per seguirlo e affiancarlo, essendo lui impegnato nella difesa dell’organizzazione di cui era a capo dalle intimidazioni e dalle violenze fasciste, culminate nella crisi del 1931. Nel decennio successivo, fu attiva nell’Unione donne cattoliche, coniugando il suo consolidato interesse alla promozione dell’impegno intellettuale delle laureate con l’apertura a programmi e metodi dell’associazionismo femminile di massa, che s’era andato insediando anche nel Mezzogiorno. Si dedicò particolarmente all’iniziativa delle «settimane della madre», secondo un metodo di preparazione delle propagandiste che anticipava nel campo religioso le forme del movimento politico-sociale sviluppatosi poi nel postfascismo. Il tradizionale ruolo femminile della madre era così qualificato come responsabilità educativa da assumere nella famiglia secondo i principi cristiani e da perseguire come il fine programmatico di una struttura associativa.
Fu poi segnata dall’esperienza della nuova guerra mondiale, che, come avrebbe ricordato, la trovò impegnata ad accudire e a proteggere i due bambini che le erano nati, accanto agli altri che accorrevano nei rifugi durante i bombardamenti che colpirono Napoli nel 1942. Il successivo sfollamento fuori città le fece rivivere i tempi del suo trasferimento forzato dal Trentino a Innsbruck. Le gravi conseguenze materiali e morali lasciate dal conflitto armato sollecitarono una riemersione sociale del movimento femminile cattolico dall’ambito prevalentemente religioso in cui il fascismo l’aveva relegato. Furono intraprese iniziative di assistenza in favore di reduci, profughi e danneggiati civili. Dopo l’invasiva occupazione degli spazi della vita privata, sperimentata con la guerra e con il fascismo, le organizzazioni cattoliche federatesi nel CIF (Centro italiano femminile), a partire dal 1944, seguirono un programma etico-sociale che riaffermava il valore della stessa persona umana in un quadro di crisi dell’ordine della convivenza. Passata da tutti questi impegni associativi, Maria de Unterrichter entrò nei gruppi femminili della Democrazia cristiana, pervenendo così alla politica, da lei considerata e indicata alle donne come perseguimento del bene comune. La sua concezione di una pedagogia democratica, dopo vent’anni di dottrina fascista, comprendeva la propaganda come parte di un processo di acculturazione civica che richiamava compiti educativi tipicamente femminili.
Il 2 giugno 1946 era eletta all’Assemblea costituente nella lista della Democrazia cristiana per il Collegio unico nazionale. Fu quello un salto di qualità del suo percorso pubblico, per la conoscenza che ne trasse dei processi istituzionali, per lo scambio e per i legami stabiliti con le poche donne di diversa appartenenza partitica che componevano l’assemblea e per il valore programmatico della Costituzione, che la guidò nei suoi impegni politici successivi. Nel marzo del 1947 era eletta delegata nazionale del Movimento femminile della Dc, incarico che svolse mirando a una piena formazione politica e democratica delle donne e alla loro attivazione sui temi legislativi riguardanti la condizione femminile.
Il discorso da lei pronunziato alla Costituente nel maggio del 1947, per il ritorno in patria di Maria Montessori, metteva in risalto il ruolo della pedagogista come testimone autorevole dell’impegno politico femminile, giacché considerava il fanciullo una «leva su cui ricostruire il mondo», una missione che proprio le donne, dopo la guerra, erano chiamate ad assolvere. Il metodo Montessori – affermò -intendeva ricostruire l’uomo nel bambino, che «racchiude in se stesso un segreto di vita» e ciò costituiva una verità naturale che collegava tutti gli uomini in un rapporto di fraternità. Maria Montessori, dopo l’esperienza della prima guerra mondiale, aveva operato per costruire la pace e questo era il programma che, anche nel tempo presente, si presentava come prerogativa della politica delle donne.
La scelta della pace era già condivisa dalle maggiori organizzazioni femminili italiane, le cui rappresentanti, nel novembre 1945, avevano partecipato al congresso di Parigi, da cui era nata la Federazione democratica internazionale delle donne. Vi era intervenuta, per conto del CIF, la stessa Maria de Unterrichter, che nel 1947 fu anche nominata commissario dell’Opera Montessori, divenendone presidente l’anno successivo.
Eletta nel 1948 alla Camera, fece parte della commissione Affari esteri e fu relatrice di alcuni disegni di legge di esecuzione delle convenzioni italo-austriache, in attuazione del trattato di pace e dell’accordo De Gasperi-Gruber, sottoscritto a Parigi il 5 settembre 1946. Rimarcò allora una concezione aperta della sovranità territoriale dello Stato e dei rapporti internazionali, da concretizzare con facilitazioni di frontiera e superando vecchie rigidità burocratiche.
Rieletta deputata nel 1953, nel collegio di Benevento-Salerno-Avellino, partecipò nel corso della legislatura alla lunga battaglia per l’approvazione della legge Merlin, che aboliva le case di prostituzione ed era sostenuta da una rete di collegamenti trasversali fra le parlamentari formatasi nella Costituente. L’11 febbraio 1954 le fu conferito l’incarico di sottosegretaria alla Pubblica istruzione, che mantenne fino al luglio del 1958. Per questa suo ruolo governativo e per il già avviato impegno della presidenza dell’Opera Montessori, la politica scolastica per l’infanzia divenne un campo qualificante della sua attività politica.
L’educazione dei bambini, conformemente alla politica democristiana dell’istruzione, era da lei intesa come un processo pedagogico volontario, proprio della sfera famigliare e sociale, che precedeva lo Stato e cooperava con esso per il bene comune. Negli anni Cinquanta prevalevano le scuole di iniziativa libera, che seguivano diversi indirizzi e ispirazioni e fra le quali parte consistente avevano quelle cattoliche. Poiché meno di un quarto dei bambini italiani le frequentavano, date le poche risorse finanziarie pubbliche disponibili, l’obbiettivo che si prospettava era di fare in modo che se ne istituissero in tutto il territorio nazionale e a vantaggio delle classi popolari, che non ne beneficiavano abbastanza. Un campo dell’intervento pubblico furono la costruzione di edifici scolastici grazie agli aiuti americani e alla Cassa per il Mezzogiorno, ai quali si affiancò l’opera di alcuni enti di riforma nelle regioni del Sud.
Dalla riforma agraria del 1950 fino al miracolo e economico e al baby boom dei primi anni Sessanta, la questione dell’educazione infantile s’inquadrava nella trasformazione economica e sociale in atto nel paese, che toccava la famiglia e il ruolo delle donne. Fenomeni come l’occupazione femminile, le migrazioni interne, l’urbanizzazione delle masse contadine, lo spopolamento delle aree rurali e montane e una carenza di scuole nelle periferie dei centri urbani esigevano ormai un’estensione universale della scuola materna, per superare scompensi, inadempienze e diseguaglianze economiche e territoriali, come si presentavano specialmente nel sud del Paese. Obbiettivi, questi, che furono raggiunti nel 1968 con la legge istitutiva della scuola materna statale, portata avanti dalla Dc, per spinta del Partito socialista e superando la lunga opposizione interna del mondo cattolico.
In rapporto con l’educazione dei bambini, intesa come fattore di convivenza nella comunità nazionale e fondamento della pace fra i popoli, furono anche gli altri impegni che Maria de Unterrichter prese in tema di servizio sociale e di assistenza. Ambiti altrettanto significativi della sua azione meridionalista ed europeista furono la valorizzazione dei beni culturali e la cooperazione fra gli Stati. Dopo che nel 1963 ebbe termine il suo mandato parlamentare continuò a dedicarsi all’Opera Montessori, all’Unesco e al Centro di educazione per assistenti sociali, di cui aveva assunto la presidenza fin dal 1953.
Fu, insomma, la sua, un’articolata “politica delle donne”, dispiegatasi tra società e istituzioni e mirata a una crescita del Paese intesa non solo nel senso economico, ma anche in quello dell’avanzamento civile e democratico.
Morì a Roma il 27 dicembre 1975.
Roberto P. Violi
Profili di Maria de Unterrichter in:
Vita dell’infanzia», XXV, 1976, 7
A. Manzo, De Unterrichter Jervolino Maria, in “Dizionario storico del movimento cattolico in Italia”, diretto da G. Campanini e F. Traniello, Le figure rappresentative 1860-1980, vol. III/1, Marietti, Casale Monferrato 1984, p. 316
S. Casmirri, Cattoliche trentine alla Costituente: Elsa Conci e Maria de Unterrichter, in A sessant’anni dal voto alle donne in Trentino. Incontri e riflessioni, a cura di A. Vadagnini, Centro stampa e duplicazioni della Regione autonoma Trentino Alto Adige, Trento 2008, pp. 61-85
Roberto P. Violi, Maria de Unterrichter Jervolino. Donne, educazione e democrazia nell’Italia del Novecento, Fondazione Fuci-Studium, Roma 2014
profilo biografico nel sito web Elette ed eletti della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale
profilo biografico nel sito web Enciclopedia delle donne
