Gesù il Cristo
Carlo Adam, Gesù il Cristo, Morcelliana, Brescia 1935
Gli scritti teologici di Carlo Adam, professore di teologia a Strasburgo, Monaco e Tubinga, rappresentarono una delle più rilevanti novità editoriali offerte ai lettori italiani dall’editrice Morcellina nel corso degli anni Trenta del Novecento. Soprattutto per un pubblico fatto di iscritti alla FUCI e di laureati cattolici, gli scritti dell’autore tedesco rappresentavano l’occasione di confrontarsi con una riformulazione di grande rilievo di alcuni ambiti rilevanti della riflessione teologica. Il volume del 1935 Gesù il Cristo si inseriva in questa direttrice, rappresentando l’occasione per spostare l’attenzione sulla figura del Cristo, vista in tutta la complessità e la ricchezza che rivestiva nella tradizione cattolica.
Scritto all’interno di un contesto, quello della teologia tedesca di inizio Novecento, segnato dall’impatto di approcci culturali come quello “liberale” e quello “dialettico”, il volume di Adam si proponeva, come già accaduto con il volume L’essenza del cattolicesimo, di valorizzare gli apporti della ricerca storica ma nei limiti di una discussione teologica che doveva rispondere al primato della fede. Così, per Adam, la cristologia diveniva la chiave di lettura imprescindibile con cui affrontare non solo la discussione sulla Chiesa e la sua natura, ma con cui strutturare la relazione fra fede cristiana e contemporaneità. Perché è il vero Dio e vero Uomo, l’Uomo-Dio, ad essere il cuore della fede cristiana, così che il connotato essenziale della fede creduta dalla Chiesa è posto nel kerygma, ossia nell’annuncio della Incarnazione e della discesa del Cristo fra gli uomini. Una prospettiva, quella adottata da Adam, che rivendica, accanto alla divinizzazione dell’essere umano, alla salvezza per l’uomo “mediata” dalla Chiesa, l’importanza del caro factum est che vede nella storia il luogo in cui agisce la Grazia.
Quella del teologo tedesco è una posizione che tende a mettere in discussione tre orientamenti problematici. Da un lato, quello che emergeva dai contributi della teologia liberale e che tendeva a porre l’accento sugli elementi “gesuani”, operando una netta distinzione fra il Gesù storico e il Cristo, ossia il Figlio di Dio. Era il primo a trovare spessore nei frutti dell’applicazione del metodo storico-critico allo studio delle fonti bibliche. Dall’altro lato, l’eccesso opposto era quello che da secoli, per Adam, perdurava nelle espressioni liturgiche orientali, dove si accentuava la dimensione divina del Cristo, quasi delinenando un dualismo fra umano e divino che si faceva iato a vantaggio del secondo elemento. Un’impostazione che emergeva anche nella terza direttrice teologica vista con occhio critico in Gesù il Cristo, ossia la teologia dialettica che quasi sfumava il valore della presenza del divino nella storia.
Adam insiste invece sul primato dell’Incarnazione come luogo non del dualismo fra umano e divino, ma al contrario come evento nel quale le due dimensioni si mostrano in una continuità inscindibile, la quale si esprime in tre caratteri essenziali della fede cristiana. Il primo dei quali è rappresentato dall’escatologia, poiché il cristianesimo è qualcosa che “cresce” nella storia e si sviluppa. A questo si aggiunge la dimensione sacramentale, perché il soprannaturale operato da Dio si traduce in forme visibili e riconoscibili da parte degli uomini. Infine, vi è il carattere sociale del cristianesimo e in particolare del cattolicesimo, il quale è strutturalmente corpo sacro proprio perché fondato sul Cristo. Gesù il Cristo ribadisce così quello che è uno degli elementi più rilevanti del contributo teologico di Adam, ossia la valorizzazione del senso metafisico del divino come fatto che diviene regola di un uso fruttuoso del metodo storico nelle questioni teologiche. Perché lo studio delle forme storiche del cattolicesimo, la valutazione critica dei testi sacri e del loro essere testimoni del Gesù, acquista valore nella misura in cui riconosce nella soprannaturalità del Cristo il proprio limite epistemologico. La fede cristiana da certamente luogo ad una pluralità di forme ed esperienza, ma quanto alla sua natura intima, alla sua essenza, essa è il “sì” della volontà ed è opera della grazia. Né sola grazia, né sola ragione, questo il modo con cui – secondo Adam – occorre guardare alla figura del Cristo per poterne maturare una compiuta intelligenza teologica.
L’edizione che Morcelliana diede alle stampe del volume ebbe certamente il merito di arricchire il panorama della discussione teologica italiana del tempo. E tuttavia rivestì anche una funzione ulteriore e di non minore importanza nel quadro della vicenda della cultura filosofia del paese. La prefazione alla traduzione italiana innesta esplicitamente il volume dentro una serie di lavori che avevano riversato nell’accademia italiana le discussioni d’oltralpe sul rapporto fra Gesù storico e Gesù della fede e sul rapporto fra contenuto dottrinale del cristianesimo e sue forme storiche. I volumi di Paolo Santangelo e Adriano Tilgher e più ancora Cristo e il Cristianesimo di Piero Martinetti, avevano inquadrato il confronto fra cristianesimo e modernità nel dibattito italiano. Rispetto a questa costellazione di posizioni filosofiche, Gesù il Cristo di Adam rappresentava non solo una risposta cattolica ma la proposta di una linea possibile di approccio culturale che ambiva a far tesoro degli strumenti della storicizzazione dentro la cornice del primato teologico dell’atto di fede.
A cura di Riccardo Saccenti