Troppo breve il mio secolo
Severino Dianich, Troppo breve il mio secolo, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2023
Esiste una pluralità di modi con cui articolare il racconto di una vita. Alla biografia storica, codificata dall’applicazione dell’analisi critica ai documenti che testimoniano la parabola esistenziale di un essere umano, si aggiungono le forme letterarie del racconto e quelle autobiografiche che contengono sempre un irriducibile livello di artificio nel restituire l’immagine di sé stessi. Le pagine pubblicate da Severino Dianich non sono classificabili in nessuna di queste tipologie letterarie. Sfogliando il volume emerge piuttosto un approccio di carattere sapienziale, nel quale le tappe dell’itinerario compiuto, i volti e i suoni, le immagini, finanche il ricordo stesso di ciò che è stato, diventano esperienza da misurare e soppesare in una luce sapienziale. Nel volume è infatti sempre presente il teologo, che indaga e soprattutto che espone e chiarisce con la asciuttezza e il rigore di un linguaggio che si fa specchio aderente alle cose dette. E tuttavia quella dimensione è la superficie di un modo di guardare alla propria vita che cerca, ad ogni sosta, i segni dei tempi, quel Vangelo detto nella concretezza, a volte addirittura nella materialità, della realtà.
Vista da questa punto di vista, quella che Dianich consegna alle pagine del libro è una meditazione che intreccia una pluralità di realtà esperite, che si diversificano a comporre un mosaico variegato per natura e valori espressi. In questo itinerario ci sono allora per prima cosa i tempi dell’esistenza, che sono tanto quelli della dimensione più intima, in cui trovano voce le relazioni familiari e amicali, e quelli della sfera ecclesiale e religiosa, scandito dal maturare della fede, dalla stagione degli studi e dell’esercizio del ministero pastorale e intellettuale. E questi tempi dialogano sempre con il tempo della storia: con la dittatura fascista e la guerra, con l’arrivo dei partigiani titini e con la guerra fredda, con la globalizzazione e con il conflitto in Ucraina. Come se fosse proprio il tempo prossimo a dare accesso, nel modo più drammatico e però autentico, al tempo della storia. Quasi un riflesso, che permette di specchiare le domande di senso che i grandi drammi impongono nella dimensione più intima, più misurabile, più umana e umanizzabile della propria vita.
Eppure, accanto ai tempi di questa vita, emergono anche i luoghi. Luoghi diversi. Perché vi sono i luoghi fisici, che sono i paesi e i continenti percorsi da Dianich, ma vi sono anche le città. E queste ultime, dalla città delle radici che è Fiume a Roma, dalla Costantinopoli distesa fra Occidente e Oriente alla Phnom Penh segnata dalla violenza della dittatura, fino alla Gerusalemme ferita dalla religione che si fa prigione, sono sempre lo spazio delle relazioni autentiche, la dimensione in cui incontrare l’altro e da questo incontro imparare e conoscere la multiformità dell’umano che apre al mistero della dimensione spirituale della realtà. Ma Dianich racconta anche di luoghi dell’anima, di spazi che pur nella loro immaterialità si fanno occasione di incontro e di cammino. Il più ampio e articolato di questi luoghi spirituali è certamente la Chiesa, che in qualche modo attraversa tutta l’esistenza di Dianich e in essa però si esprime in una pluralità di forme e voci che includono le tante comunità di credenti conosciute e praticate come anche gli aspetti più duri e rigidi delle istituzioni e delle dinamiche interne al corpo ecclesiale.
Centrale è certamente il Concilio, che però per Dianich non è solo l’evento nel quale una Chiesa dai mille volti si mostra agli uomini e con essi cerca un dialogo. Il Vaticano II è, in questo luogo che è la Chiesa, lo spazio in cui incontrare i grandi maestri del pensare teologico e le esperienze di fede cresciute sui terreni delle molte umanità che emergono. Ed è lo spazio di una semina dal raccolto difficile e complesso, che richiede la fatica della cura e della perseveranza e che va incontro anche a sofferenze e turbamenti. È in questo che per Dianich prende forma e senso anche l’esperienza della Fuci da lui vissuta a Pisa. Un itinerario nel quale il passaggio conciliare diviene regola e al tempo stesso luogo di una crisi, quella del gruppo diocesano, che traduce nella dimensione della chiesa pisana e dell’ateneo della città le inquietudini di cattolici che rivendicano la propria identità spirituale. E allora, pur di fronte al travaglio che porta alla fine di quella esperienza, resta nel racconto di Dianich l’esperienza preziosa di cristiani che cercano nel mondo il Vangelo che credo e che trovano annunciato nella Parola. Tutte le diverse esperienze rivissute da Dianich in queste pagine conoscono la stessa dinamica: quella sapienziale che nelle cose discerne il senso e la profondità evangelica e dunque riconosce la storia stessa, tanto quella dei grandi eventi quanto quella più intima, come vera e propria praeparatio evangelica. Vi è del resto, lungo tutto il libro, accanto al senso di una scoperta costante – condensata, a detta di Dianich stesso, in un tempo troppo breve – il sapore di un’attesa a cui tutto quanto tende e che proprio per questo rende specchio autentico di verità ogni tempo, ogni luogo, ogni incontro. In questo senso la pagina che chiude il cammino, con la pericope dei capitoli 21 e 22 dell’Apocalisse di Giovanni è in realtà il vero inizio di questo itinerario nel secolo, che è itinerario nell’umano che si risolve nella fede in quel Cristo che fa nuove tutte le cose.
A cura di Riccardo Saccenti