Cosa mi ha lasciato la Fuci
di Francesca Lozito*
Comincerò dalla fine a raccontarvi il senso del fare la Fuci. Quest’anno, alla mia prima esperienza di Coordinamento di classe nella scuola secondaria di Primo grado ho rispolverato tutte le skills acquisite in due anni di Consiglio Centrale come Incaricata regionale. Ah le mozioni signora mia! E la messa al voto quando non si è d’accordo? Tutto, mi è servito tutto. Un Consiglio di classe conserva ancora tutte le caratteristiche – compresa quella della sfinente lunghezza – con cui ci dilettavamo a passare i nostri sabati sera a discutere, discutere, discutere, discutere anche in sessione notturna, fino a quando qualcuno non trovava la quadra. Ecco, io ho anche trovato la quadra quest’anno a scuola, e vi giuro che non è facile sopravvivere all’esperienza degli Organi collegiali. Ma facciamo un po’ di storia, è questa che vi spingerà a leggere fino alla fine.
Sono entrata in Fuci sotto la spinta di consigli altrui, l’assistente che reclutava un gruppo di giovani da formare – eravamo effettivamente un gruppo in formazione – mio padre che mi consigliava di provare, Alessia che diceva che non ci potevamo far scappare l’occasione di vivere questa esperienza. Ne sono uscita convinta a tal punto da averci fatto la tesi di laurea, aver passato le quattro estati dei miei anni universitari a Camaldoli, di cui l’ultimo anche per tutte e due le settimane.
Quel mondo conosciuto in quegli anni è diventato il mondo della mia vita, i miei amici di sempre sono quelli che ho conosciuto in Fuci o hanno fatto la Fuci con me, tanti, tantissimi quelli che ho perso per strada, anche tra alcuni di quelli con cui ho condiviso tanto di quegli anni. Due li ho fatti sposare io avendone propiziato la conoscenza, e, credetemi, sono il mio più grande orgoglio.
Altri, soprattutto quando ho cambiato città e sono tornata a vivere a Torino, sono diventati i miei amici senza esserlo stati in quegli anni, in virtù di un comune sentire che ci ha uniti. Potenza della Parola, di un vocabolario esistenziale comune, di una storia che si riallaccia anche nei momenti più inaspettati.
Andai a dare nel 1999 il mio penultimo esame all’Università, Storia moderna, con Paolo Prodi. Don Andrea, allora assistente nazionale, mi disse di salutarlo. Lo feci solo a libretto firmato.
“Si vede che ha fatto la Fuci” disse sornione il prof., a testa bassa mentre scriveva. E poi aggiunse con un guizzo ironicamente allusivo: “Altri se ne sarebbero approfittati e lo avrebbero detto prima”. Era un esame durissimo. Ma anche uno dei più belli, con uno degli studiosi più geniali e profondi del nostro Paese.
Sono una fucina un po’ anarchica, perché, ribadisco, si esce dall’associazionismo attivo nel tempo che si riconosce giusto per uscire, ma poi lo si resta per sempre. Un possesso per sempre, come dicevano gli antichi. Refrattaria alla formazione teologica intesa nel senso più stretto del termine, ho un’ammirazione sconfinata per tutti i miei amici che nella Fuci hanno potuto approfondire questo aspetto della formazione alla fede e li ascolto sempre tanto, tanto volentieri.
Come ammiro chi ha vissuto l’esperienza della politica in anni così tremendamente difficili per l’atomizzazione dell’impegno. Non ho smesso di essere una paladina del laicato, anche adesso che sono un po’lontana dalla pratica e mi esprimo in sussulti. I miei amici fucini lo sanno e non giudicano, mi accettano per quella che sono.
Qualche giorno fa, a me che per quindici anni prima di entrare nella scuola ho appeso la tesi al chiodo ed ho fatto la giornalista, la chiave del senso della Fuci per Francesca l’ha data un tutor dell’Università di Torino. Questo professore sostiene che nella scuola ognuno di noi entra con il proprio patrimonio di formazione culturale. Mi sono così illuminata ed ho pensato a tutte le volte in cui dei ragazzi ho detto che meritano il mio rispetto, tutti, perché sono persone in potenza. Ho riallacciato le trame legando questo mio principio guida proprio al personalismo comunitario di Maritain, ai padri Costituenti e a quella copia clandestina di Umanesimo integrale tradotta da Giampietro Dore su quel quadernetto con bollo Segreteria di Stato Vaticana che ho studiato per la mia tesi in Filosofia della politica assegnatami da un professore liberale che sapeva della mia esperienza in Fuci. Tutto si tiene anche quando non si riesce a fare un immediato riferimento ai nostri principi, a quello che fonda il nostro essere umani. Allora sono stata anche io una persona in potenza e ho ricevuto rispetto.
*Francesca Lozito ha 47 anni, vive a Torino, è stata fucina dal 1997 al 2000 e incaricata regionale dell’Emilia Romagna. Una laurea in Filosofia e una quasi seconda laurea in Lingue, giornalista professionista, insegnante da tre anni, ha fatto nascere il progetto Zuppairlandese.com.