La FUCI, laboratorio applicato del Concilio
di Salvatore Ielpa*
Da neolaureato mi chiesero una volta di scrivere un breve profilo che riassumesse sinteticamente le esperienze che di più avevano valorizzato il mio percorso formativo. Senza battere ciglio scrissi di getto:
“Durante il periodo degli studi accademici mi sono trasferito per un breve periodo a Roma dove, parallelamente agli studi universitari, ho fatto un’importante esperienza di volontariato presso la Federazione Universitaria Cattolica Italiana (F.U.C.I.). Considero tale esperienza un complemento alla mia formazione scientifica, ma anche un impulso esistenziale alle scelte professionali compiute in seguito.”
La FUCI è stata per me proprio questo. Un’esperienza che mi ha arricchito nel cuore, nella mente e nella fede e per la quale ho un inesauribile sentimento di gratitudine per tutto quello che ho ricevuto.
Eppure, la FUCI, all’inizio, sembrava essere una scelta scontata, dopo anni di Azione Cattolica e impegno parrocchiale nella mia città di Scalea. Ero andato ai primi incontri un po’ per inerzia, incoraggiato dall’esperienza di mio fratello Giuseppe, fucino assieme alla moglie Dorella, negli anni del centenario. Avevo trovato un gruppo in via di ripartenza con due compagni di viaggio che sarebbero poi diventati i miei migliori amici: Eugenio Vite, poi Vicepresidente Nazionale e Amedeo Tocci, poi incaricato regionale per la Calabria e oggi padre Dehoniano.
Con loro e altri pochi ragazzi iniziammo a vederci nella parrocchia Universitaria e fu subito chiaro che quel modo di “fare gruppo”, di vivere l’Università con responsabilità verso gli altri, di guardare alle problematiche sotto diverse prospettive – fede, studio, società, politica – diventava l’occasione di investire bene il nostro tempo, di far fruttare al meglio le competenze che stavamo consolidando in una chiave aperta all’analisi critica di ciò che ci circondava. Così da pochi elementi passammo a un gruppo numeroso, affiatato e pieno di idee e iniziative. Per diversi anni, guidati da padre Massimo Bellillo, un giovane padre dehoniano, fresco di esperienze di pastorale nel quartiere romano del Quarticciolo, il nostro gruppo divenne una comunità viva, una presenza significativa e accogliente all’interno dell’Università della Calabria e una “fucina” di risorse per il Consiglio Centrale e la Presidenza Nazionale. Molti di noi trovarono nel gruppo e nella comunità dehoniana sostegno spirituale ed esistenziale anche in momenti critici dell’esperienza accademica.
Negli ultimi anni dell’Università, quando mi accingevo a concludere gli studi, dopo l’esperienza da consigliere centrale della federazione, in un periodo molto frenetico e complicato – come un fulmine a ciel sereno – arrivò la chiamata della Presidenza Nazionale. Dopo un paio di settimane tormentate accettai e andai a Roma con molto timore.
Trovai però nella Presidenza Nazionale e nel pensionato di Azione Cattolica una seconda famiglia, degli amici autentici e schietti, delle personalità profonde e intellettualmente concrete.
Iniziai a mettermi a disposizione negli aspetti più pratici: facendo da autista nelle strade di tutta Italia, con memorabili viaggi assieme all’assistente don Armando Matteo. Ben presto, però, gli impegni di presidenza mi catapultarono in contesti più belli e complessi: l’organizzazione degli appuntamenti nazionali, la delega per le regioni Triveneto e Sardegna, l’impegno sociale contro le mafie con Libera, il Forum Nazionale dei Giovani, la CRUI, il dialogo ecumenico e interreligioso con “Osare la Pace”. Ogni esperienza iniziò a forgiarmi e a smussare gli spigoli del mio carattere, a smontare quella “comfort zone” che avevo creato nella mia prima età adulta. Appresi diverse lezioni, soprattutto dai miei compagni di viaggio in presidenza e dai fucini incontrati nei gruppi di tutta Italia. Li osservai agire con coraggio, interloquire con sicurezza con la Chiesa, con le istituzioni politiche, con l’associazionismo. Oggi, a quasi vent’anni di distanza, posso dire di aver vissuto una sorta di laboratorio applicato del Concilio, in cui in mezzo a situazioni a volte esaltanti altre molto critiche, si vedeva operare chi stava vicino a te come laici autorevoli che agiscono “per il bene degli uomini e a edificazione della Chiesa”.
Il coronamento dell’esperienza fucina furono i periodi trascorsi a Camaldoli e l’amicizia dei monaci che rappresentano ancora oggi, per la FUCI, un saldo punto di riferimento spirituale e culturale. Ancora adesso chiudendo gli occhi mi sembra di attraversare i corridoi della Foresteria del Monastero e arrivare nelle stanze del Landino dove, da fucino di Cosenza prima e da membro di presidenza dopo, ho seguito le Settimane Teologiche e momenti di convivialità indimenticabili con tanti amici.
Gli anni di presidenza furono belli e intensi ma arrivò presto il momento di rientrare in Calabria per finire gli studi con rinnovata forza e uno spirito diverso
Grazie FUCI! È la frase che dissero i miei genitori alla fine della Messa conclusiva delle settimane di Camaldoli, nel momento del mio ultimo appuntamento come membro della Presidenza Nazionale. In quel momento compresi che non ero il solo ad essere immensamente grato per l’esperienza vissuta fin da matricola nel gruppo FUCI dell’Università della Calabria e poi negli organi nazionali. Capii che quegli anni in cui ero stato meno presente a casa mi avevano evidentemente cambiato avviando in me un profondo processo di riflessione personale, spirituale, esistenziale tanto era grande la gratitudine che sentivo nel cuore!
*Salvatore Ielpa, calabrese, è ingegnere Informatico. Docente di Scienze e Tecnologie Informatiche nelle scuole superiori e project Manager presso DLVSystem S.r.l. (spin-off dell’Università della Calabria), una piccola impresa che opera attivamente nel mercato dell’ICT con particolare riferimento al settore dell’Intelligenza Artificiale e della Rappresentazione della Conoscenza e del Ragionamento automatico. È stato vice-presidente nazionale maschile della FUCI dal 2005 al 2007.