La Fuci alla Sapienza. Ricordi appollaiati su due cupole

La Fuci alla Sapienza. Ricordi appollaiati su due cupole

La Fuci alla Sapienza. Ricordi appollaiati su due cupole

di Marco Coppolaro*

Per la mia esperienza fucina mi vengono subito alla mente due cupole. Può sembrare strano, ma per me che mi occupo di storia dell’arte non lo è, anzi, quasi non potrebbe essere diversamente. I meccanismi di evocazione vengono innescati da ciò che è ricorrente nella nostra quotidianità. Ecco che la mia madeleine de Proust per gli anni trascorsi in Fuci sono due cupole. Quella con la quale Francesco Borromini coprì in maniera fiammeggiante la chiesa di Sant’Ivo, avvolta nel Palazzo della Sapienza, e quella paciosa che Marcello Piacentini progettò per la Divina Sapienza, la cappella della città universitaria.

I due edifici sono legati da un cordone fatto di fili sovraccarichi di storia. È la storia dell’ateneo. Entrambe ‘cappelle universitarie’ in tempi e modi diversi. Tra questi fili anche quello della Fuci, più corto, con i centocinquant’anni di vita della Federazione. Una realtà che trova i suoi prodromi proprio nell’esperienza del circolo di universitari iscritti allo Studium Urbis e riuniti intorno a Romolo Murri.

Il legame tra le due cupole resta vivo negli anni. La loro visione, ancora per me quotidiana, rimanda alla scansione della vita fucina. Le settimane da universitario, quando approdato a Roma sono in pochi mesi reclutato come presidente del gruppo della Sapienza. In città universitaria le giornate si muovono tra le aule delle lezioni, diverse per ognuno, e la cappellania. Sotto la cupola di Piacentini, in una sala dedicata a padre Pedro Arrupe, si programmano le attività formative, si svolgono gli incontri, si coltivano le amicizie. La cupola di Sant’Ivo rimanda invece alla Messa della prima domenica del mese, con i gruppi delle altre università della diocesi, dove spesso si ritrovano anche fucini di generazioni passate. L’atmosfera è familiare. Nei locali annessi alla sagrestia si tengono le riunioni più importanti, con le relative clamorose litigate, per poi finire a pranzo insieme. Elezioni agli organi federali, modifiche di statuti e regolamenti, mozioni di indirizzo, temi per i percorsi di gruppo. In quelle sale ricordo l’invito alla candidatura come consigliere nazionale. Si esce alla chetichella nel tardo pomeriggio, dal portone su via del Teatro Valle, verso Sant’Eustachio, mentre la mattina si è entrati da Corso del Rinascimento.

Ma è all’ombra della cupola della città universitaria che si svolge la vita fucina ordinaria, vissuta nella centralità dello studio. Lunghi pomeriggi trascorsi insieme, studiando gomito a gomito. Così L’Europa delle Capitali di Argan fronteggia La paura del secolo XX di Mounier, il manuale di diritto privato urta quello di anatomia umana. Percorsi differenti che si confrontano nelle pause, un clima di universalità del sapere, il contraltare agli eccessi di certi iper-specialismi.

È un brodo culturale che spesso disorienta, creando però una positiva inquietudine di fronte alla vastità della conoscenza, un senso di ossequio rispetto all’universitas, il «venerando limitare» di cui parla Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, in uno dei suoi scritti indirizzati ai fucini. È chiara l’ispirazione del percorso a certe riflessioni di Jacques Maritain. Proprio lo stimolo costante allo studio rimanda di nuovo alle due cupole. A Sant’Ivo un cartiglio recita «Initium Sapientiae Timor Domini», è il primo libro del Siracide, ripreso sul cornicione esterno della cappella in città universitaria, «Omnis Sapientia a Domino Deo Est et Cum Illo Fuit Semper…». Un invito a interrogarsi sul rapporto tra Fede e Ragione. Il legame è marcato ancora da due immagini, Maria, la Sede della Sapienza. A una Vergine orante posta sull’altare di Sant’Ivo, copia antica da un prototipo di Sassoferrato, fa eco nella cappella di Piacentini una sua sbiadita stampa su tela degli anni Sessanta, quasi sospesa nel grigiore un po’ afono.

I ricordi sono strettamente intrecciati. È la mia prima sessione di esami, cade in quel febbraio il trentacinquesimo dell’anniversario della morte di Vittorio Bachelet, cui è intitolato il gruppo, bisogna saltare da un appello all’altro cercando intanto di organizzare un pomeriggio di studi per l’occasione. L’ultimo esame è di rientro dal congresso straordinario di Fiesole per i centocinquant’anni dalla fondazione, si dorme poco, si ripete in treno. Poi la laurea, due giorni dopo la discussione della tesi c’è un evento che conclude un percorso formativo sul dialogo interreligioso, abbiamo invitato in Sapienza il cardinal Jean-Louis Tauran, tocca lavorare. Arriva la prova scritta del concorso di dottorato, varco i cancelli d’ingresso da viale Regina Elena, realizzo di aver dimenticato l’orologio, vedo da lontano la cupola, entro in cappella di corsa poco prima delle otto, uno dei gesuiti se lo sfila e me lo presta, scappo in facoltà.

Un fucino che passa per il cortile del Palazzo della Sapienza si sente un po’ a casa. Viene subito alla mente una foto che circola molto in Fuci. Un giovane Montini assistente generale, alle spalle la cupola, immortalato con i presidenti nazionali dell’epoca. Sono Igino Righetti e Maria De Unterrichter. La seconda sarà tra le poche madri costituenti. Le vicende della Federazione si mescolano a quelle dell’Italia repubblicana. Ancora un giro di cupola. Ancora un giro di Fuci. Ancora un giro di storia.

*Marco Coppolaro, origini beneventane, è cresciuto tra Azione Cattolica e Anspi. In FUCI è stato presidente maschile del gruppo Roma Sapienza “Vittorio Bachelet” e poi Rappresentante dell’Assemblea Federale in Consiglio Centrale. Già borsista del Centro Universitario Cattolico della Conferenza Episcopale Italiana. Nella primavera del 2018 ha partecipato come membro designato dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica ai lavori preparatori per la V Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (I giovani, la Fede e il discernimento vocazionale). Dottore di ricerca in Storia dell’Arte dal 2020. Attualmente si divide tra l’attività di ricerca e quella di docenza nella scuola superiore.